Intervista alla Prof.ssa Lorenza Caregaro Negrin

La Prof.ssa Lorenza Caregaro è nata a Vicenza.
Si è laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Padova.
Ha conseguito la Specializzazione in Ematologia nel 1975, in Medicina Interna nel 1979 e quella in Scienza dell’Alimentazione nel 1984.
I principali campi di interesse e di ricerca sono:
-la nutrizione clinica
-i disturbi del comportamento alimentare
-l’epatologia.
Attualmente è professore associato di Nutrizione Clinica presso l’Università di Padova dove è stata nominata anche presidente del Corso di Laurea in Dietistica e Direttore della Scuola di Specializazione in Scienza dell’Alimentazione.
E’ direttore del Servizio di “Dietetica e Nutrizione Clinica” dell’Università di Padova.
E’ docente nel Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, nel Corso di laurea in Dietistica e nelle Scuole di Specializzazione in Scienza dell’Alimentazione, Medicina Interna, Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Endocrinologia e Malattie del Ricambio.
Ha al suo attivo oltre 200 pubblicazioni su riviste nazionali e internazionali
Prof.ssa Caregaro, in un importante articolo del 2006, Bray (Bray GA, Bellager T. Epidemiology, trends and morbidities of obesity and the metabolic syndrome. Endocrine 2006; 29: 109-117)
ha definito l’obesità un fenomeno a carattere epidemico, quasi una
pandemia che coinvolge 300 milioni di individui di tutte le fasce di età
nei paesi industrializzati e in via di sviluppo (Cina e l’India). Quali
sono le cause principali? Fattori ambientali, errata alimentazione,
predisposizione genetica, disfunzione ormonale?
L’obesità
rappresenta oggi uno dei principali problemi di sanità pubblica, per il
suo rapido e costante aumento non solo nei paesi industrializzati, ma
anche nei paesi in via di sviluppo. Il trend è particolarmente
preoccupante per bambini ed adolescenti. In Europa, il 20% dei bambini è
in sovrappeso, con picchi del 34-35% nelle fasce di età tra i 6 e i 9
anni. Un terzo di questi sono obesi. In Italia, la prevalenza di
adolescenti e bambini in sovrappeso è intorno al 25% (4% obesi). Il 34%
degli adulti è in sovrappeso (9.4% obesi).
Le cause di tale fenomeno
sono riconducibili all’interazione tra fattori ambientali (modificazioni
delle abitudini alimentari e sedentarietà) e fattori genetici
(prevalenza di genotipi parsimoniosi). Benessere, aumentata
disponibilità di alimenti, interessi di mercato, pubblicità e
globalizzazione hanno portato ad un rapido cambiamento delle abitudini
alimentari, non solo in termini di quantità ma anche di qualità di
alimenti assunti (più ricchi di grassi e di calorie). D’altro canto
progresso, evoluzione tecnologica (TV, computers, auto, ascensori, etc) e
cambiamenti del mondo del lavoro hanno condizionato uno stile di vita
meno attivo. Tali cambiamenti sono stati rapidi, mentre gli adattamenti
genetici richiedono secoli. Nel genere umano prevalgono perciò ancora i
genotipi parsimoniosi, che si sono selezionati nel corso dei passati
millenni, segnati prevalentemente da carenze alimentari. Tali genotipi
favoriscono l’obesità agendo sui meccanismi di regolazione
neuroendocrina del metabolismo energetico.
Solo in rari casi di
obesità, definita “obesità secondaria”, le cause sono di natura ormonale
(ipotiroidismo, aumentata produzione di ormoni corticosurrenalici,
insulinomi, etc) o di natura genetica, dovute a mutazioni di un singolo
gene, come l’obesità da deficit di leptina, o a malattie genetiche di
tipo “sindromico”; in questo caso l’obesità ha un esordio precoce
nell’infanzia ed è associata a ritardo dello sviluppo ed a ritardo
mentale.
In Italia il Ministero della Salute dichiara che l’obesità rappresenta il secondo rischio per la salute dopo il fumo. Con il
programma “Guadagnare Salute” si è impegnato a contrastare questo
problema di salute pubblica. Quali secondo lei i mezzi più efficaci e
l’approccio più giusto?
E’ vero. L’obesità è una malattia
che comporta gravi rischi per la salute. Non deve essere considerata,
come spesso avviene, solo un problema estetico. Le patologie associate
all’obesità sono numerose: diabete, dislipidemie, malattie
cardiovascolari (ipertensione, infarto, ictus), diversi tipi di tumori,
patologie osteoarticolari e della sfera riproduttiva, insufficienza
venosa agli arti inferiori ed altre ancora. Frequenti sono i risvolti
psichici dell’obesità, come la depressione, una bassa autostima o la
tendenza all’isolamento.
L’obesità ha importanti implicazioni anche
sul piano economico e sociale, sia per l’aumento dei costi sanitari che
per la perdita di produttività, di guadagni e di vite umane. Nei paesi
industrializzati, l’obesità è più diffusa nelle classi sociali disagiate
e meno abbienti. Questo aspetto va tenuto presente negli interventi di
prevenzione.
Anche se da alcuni anni la lotta al sovrappeso ed
all’obesità è diventata uno degli obiettivi prioritari dei piani
sanitari di diversi paesi, le misure finora adottate dai vari governi
non sono riuscite ad invertire il trend in costante aumento.
Recentemente, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha
riconosciuto la necessità di adottare una strategia globale per la lotta
all’obesità, che preveda un forte impegno dei governi e collaborazioni
intersettoriali sia a livello nazionale che internazionale per favorire
scelte salutari sia nell’alimentazione che nell’attività fisica. Nel
2006, la Conferenza Ministeriale Europea dell’OMS ha emanato una “Carta
Europea” per la lotta all’obesità, sottoscritta dai vari paesi europei.
Con
il progetto “Guadagnare Salute – Rendere facili le scelte salutari”, il
nostro Ministero della Salute, in linea con le raccomandazioni dell’OMS
ha formulato un programma ed indicato le strategie per promuovere
scelte alimentari salutari ed attività fisica, oltre che per combattere
l’abuso di alcol ed il fumo. Si tratta di un progetto ambizioso, che
prevede il coinvolgimento di altri Ministeri, Regioni ed Enti locali,
del mondo della scuola e dello sport, del settore privato (ad esempio,
le aziende del settore alimentare e della ristorazione collettiva),
oltre che di associazioni e società scientifiche. Sarà di fondamentale
importanza l’impegno e la capacità del governo di tradurre in azioni i
principi e le strategie enunciati nel programma.
Negli
ultimi anni hanno fatto molto discutere i cosiddetti farmaci
anti-obesità che con diversi meccanismi riducono l’assunzione di calorie
o l’aumento del consumo energetico favorendo un’importante perdita di
peso ma esponendo i pazienti a gravi effetti collaterali. Quale è la sua
posizione riguardo alla loro somministrazione?
Attività
fisica e cambiamento delle abitudini alimentari sono alla base di
qualsiasi intervento per la perdita di peso. In casi selezionati il
trattamento farmacologico può essere d’aiuto, sia nella fase del calo
ponderale che nel mantenimento, ma non è efficace se non è associato
alla dieta ed all’attività fisica. Inoltre, l’efficacia dei vari
farmaci, compresi gli inibitori degli endocannabinoidi, non ancora in
commercio in Italia, è limitata al periodo di assunzione del farmaco.
Alla sospensione si assiste inevitabilmente ad un recupero del peso, se
non si è ottenuto un cambiamento dello stile di vita.
Come tutti i
farmaci, anche i farmaci per il trattamento dell’obesità hanno
controindicazioni ed effetti collaterali, che devono essere attentamente
valutati prima di prescriverli. Un altro limite della terapia
farmacologia è legato alla durata del trattamento, che non può superare
un anno per l’orlistat e due anni per la sibutramina. Orlistat e
sibutramina sono gli unici due farmaci per il trattamento dell’obesità
attualmente in commercio in Italia.
Come non esiste una dieta
miracolosa, non esiste neanche il farmaco miracoloso che fa perdere peso
(e soprattutto mantenere la perdita di peso) senza modificare abitudini
alimentari e stile di vita. La perdita di peso che si può ottenere con i
vari farmaci, inclusi gli inibitori degli endocannabinoidi, non è
superiore a quella che si ottiene con un intervento dietetico associato
ad attività fisica. Si aggira in media intorno all’8% del peso iniziale
in un anno.
Purtroppo, non è facile ottenere un cambiamento stabile
delle abitudini alimentari e dello stile di vita. Le abitudini acquisite
nel tempo sono radicate e l’ambiente non è favorevole al cambiamento.
Quindi quale può essere il trattamento principale di una persona obesa?
La
storia del trattamento dell’obesità ci ha insegnato che i singoli tipi
di approccio utilizzati in passato, inclusi i vari tipi di diete
ipocaloriche, la terapia comportamentale e quella farmacologica possono
essere efficaci nel breve termine (6 mesi-1 anno). Purtroppo, però, i
risultati a lungo termine (dopo 5 anni) sono deludenti per tutti i tipi
di interventi. La maggior parte dei soggetti che ha perso peso, non
tutti per fortuna, lo recupera negli anni successivi. Risultati migliori
si hanno con trattamenti combinati e soprattutto con follow-up a lungo
termine. Non dimentichiamo, infatti, che l’obesità è una malattia
cronica e come tutte le malattie croniche richiede terapie e controlli
regolari e continui.
L’approccio più efficace per ottenere un
cambiamento stabile delle abitudini alimentari e modificare uno stile di
vita sedentario è quello di tipo “educativo”, che mira a
responsabilizzare il soggetto e ad ottenere la sua collaborazione attiva
nel percorso terapeutico. Il percorso educativo è organizzato in modo
da favorire l’autogestione dell’alimentazione e dell’attività fisica
attraverso il trasferimento di competenze terapeutiche dai curanti ai
pazienti. Le tecniche utilizzate includono: l’automonitoraggio
dell’alimentazione e dell’attività fisica attraverso il diario,
l’autorinforzo, il controllo degli stimoli e la gestione dello stress,
il problem solving ed il supporto familiare e sociale.
Oltre alle
tecniche comportamentali, può essere importante un supporto psicologico,
sia nella fase di motivazione che nel corso del trattamento. Il
percorso terapeutico per la perdita di peso è un percorso lungo, che non
può esaurirsi in una o due visite, con la consegna di uno schema
dietetico e con le raccomandazioni per incrementare l’attività fisica. I
soggetti che non sono motivati ad intraprendere un percorso per il
cambiamento dello stile di vita hanno un rischio maggiore di recuperare
il peso perso e di andare incontro a quella che viene definita “weight
cycling syndrome” (o sindrome dello yo-yo). Alcuni studi suggeriscono
che le ripetute oscillazioni di peso possono aumentare, anziché ridurre,
il rischio cardiovascolare.
L’obesità infantile è
un fenomeno in costante e preoccupante aumento. Esistono differenze
rispetto all’obesità in età adulta per quanto riguarda la patogenesi e
le conseguenze?
L’obesità infantile riconosce le stesse
cause dell’obesità dell’adulto, cioè un’interazione tra fattori
ambientali (alimentazione e sedentarietà) e predisposizione genetica. Le
forme di obesità secondaria sono rare, ma devono essere valutate ed
escluse nella fase di valutazione diagnostica.
Le abitudini
alimentari dei genitori ed il loro stile di vita influenzano molto i
bambini. Bambini ed adolescenti, inoltre, sono molto più vulnerabili
degli adulti nei confronti dei messaggi pubblicitari.
L’obesità infantile, come quella dell’adulto, è una malattia cronica con gravi conseguenze sia nel breve che nel lungo termine.
L’esplosione
nelle ultime decadi dell’obesità infantile ha stravolto alcune delle
nostre acquisizioni su determinate patologie. Ad esempio, oggi si
riscontrano nei bambini e negli adolescenti obesi quadri di
insulinoresistenza e di diabete di tipo II, che un tempo veniva definito
“diabete dell’adulto”, proprio perché l’insorgenza di tale malattia era
caratteristica dell’età adulta. Nel bambino obeso si possono rilevare
segni cutanei di insulinoresistenza, come l’acantosis nigricans, una
dermatosi caratterizzata da un’iperpigmentazione di colorito scuro in
particolari zone del corpo (regione posteriore del collo, ascelle,
inguine). Altre complicanze dell’obesità infantile sono l’ipertensione e
le dislipidemie. Come nell’adulto, si possono riscontrare aumentati
livelli di transaminasi, legati a quadri di steatosi epatica o di
steatoepatite. Un altro aspetto importante è quello delle implicazioni
psicologiche dell’obesità, come una scarsa autostima o problemi
depressivi. Il bambino e l’adolescente obeso hanno inoltre un elevato
rischio di restare obesi anche in età adulta.
E in questi casi, quindi, quali sono gli interventi terapeutici più adatti?
Il
trattamento dell’obesità infantile richiede necessariamente il
coinvolgimento della famiglia. Nei bambini più piccoli, fino a 6-7 anni,
l’intervento è rivolto principalmente ai genitori, cui vengono fornite
informazioni adeguate sui fabbisogni e sulla corretta alimentazione del
bambino, sulle modalità per abituarlo gradualmente a scelte alimentari
più sane, sull’importanza di limitare il consumo di cibi e bevande ad
elevato contenuto calorico, senza tuttavia demonizzare nessun alimento.
Si devono valutare con i genitori le opportunità e le strategie per
stimolare gradualmente il bambino a svolgere più attività fisica.
Purtroppo, è spesso difficile riuscire a modificare gli stili di vita
della famiglia, anche per motivi di tempo, di lavoro e di organizzazione
familiare.
Dopo i 6 anni l’intervento è rivolto anche al bambino,
con il quale si può stabilire un rapporto di alleanza e di
collaborazione. L’efficacia degli interventi per il cambiamento dello
stile di vita è maggiore nel bambino che nell’adulto.
L’approccio
all’adolescente richiede particolare attenzione agli aspetti
psicologici, non trascurando la presenza di eventuali fattori di rischio
individuali e familiari per disturbi del comportamento alimentare.
Il
trattamento e la gestione dell’obesità nell’infanzia e nell’adolescenza
deve essere affidato a personale esperto; interventi non corretti
possono comportare rischi anche gravi per lo sviluppo fisico e
psicologico. I pediatri hanno un ruolo importante sia nella prevenzione
che nel trattamento e, quando necessario, possono indirizzare il bambino
o l’adolescente ai centri specialisti.